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L’intelligenza artificiale è entrata ormai in ogni settore. Anche gli studi legali non ne sono esclusi. Ma la professione legale, per sua natura conservatrice, vive questo cambiamento con sentimenti opposti: curiosità e diffidenza, speranza e timore.

La verità è che oggi siamo davanti a un bivio. Da una parte ci sono gli studi che sfruttano l’intelligenza artificiale per crescere e lavorare meglio. Dall’altra ci sono quelli che la ignorano, convinti che la tradizione e il passaparola possano bastare.

Ma i numeri e le norme ci dicono chiaramente una cosa: l’IA non sostituirà gli avvocati, ma sostituirà gli studi lenti.

Cos’è l’intelligenza artificiale per gli avvocati

È importante chiarire un punto: l’intelligenza artificiale non prende decisioni legali. Non può sostituirsi al ragionamento giuridico, né alla responsabilità del professionista. È un supporto, non un sostituto.

Quando parliamo di intelligenza artificiale negli studi legali, non ci riferiamo a scenari futuristici o a robot che difendono i clienti in aula. Parliamo di strumenti concreti, già disponibili oggi, che possono:

■ automatizzare le ricerche giurisprudenziali: software capaci di scandagliare banche dati in pochi secondi;

■ analizzare grandi quantità di documenti: utile nei contenziosi complessi, nei contratti o nelle cause collettive;

■ produrre bozze di atti e contratti che l’avvocato rifinisce e personalizza;

estrarre informazioni chiave da normative e sentenze;

■ Supportare e  semplificare la creazione di contenuti per i social.

In tutti questi ambiti, l’Intelligenza Artificiale non elimina la funzione dell’avvocato, ma ne potenzia la capacità di essere rapido, preciso e competitivo.

I dati sull’adozione dell’IA tra gli avvocati italiani

La realtà italiana è molto diversa da quella di altri Paesi.

Secondo il Rapporto Censis 2025, ben il 72,3% degli avvocati italiani non usa l’intelligenza artificiale. Un ulteriore 17% dichiara che non la userà mai. Solo il 27,5% degli avvocati ha iniziato a utilizzarla, soprattutto per ricerche giurisprudenziali e analisi documentali (fonte: Censis – Avvocati e IA 2025).

Questi dati parlano da soli: meno di 3 professionisti su 10 stanno sperimentando l’IA.

Se guardiamo all’estero, lo scenario è molto diverso. Nel report Future Ready Lawyer 2024 di Wolters Kluwer, oltre il 70% degli studi legali europei e statunitensi dichiara di voler aumentare gli investimenti in tecnologia legale, e l’IA è uno degli ambiti prioritari (fonte: Wolters Kluwer).

Questo dato evidenzia un divario che non possiamo ignorare. Mentre gli studi stranieri avanzano con decisione verso l’integrazione dell’intelligenza artificiale nei processi quotidiani, gran parte dell’avvocatura italiana resta ferma, ancorata a modelli tradizionali.

Non si tratta solo di un ritardo tecnologico: è un vero e proprio problema di posizionamento competitivo. Gli studi europei e americani che già utilizzano l’IA offrono ai clienti servizi più rapidi, più efficienti e percepiti come innovativi. Questo li rende più appetibili sul mercato, soprattutto per aziende e clienti internazionali.

In Italia, invece, molti professionisti scelgono la prudenza, spesso confondendo la diffidenza con la cautela strategica. Il risultato è che, mentre altrove si sperimenta, si investe e si comunica l’uso dell’IA come valore aggiunto, nel nostro Paese prevale l’immobilismo. E chi resta immobile oggi, rischia di trovarsi domani irrimediabilmente tagliato fuori.

L’intelligenza artificiale anche per i contenuti social

Molti avvocati credono che la presenza online sia secondaria, quasi un accessorio. La realtà è opposta.

Oggi il 74% degli italiani cerca informazioni legali online prima di contattare un avvocato (dati Censis). LinkedIn è la piattaforma più usata dai professionisti, mentre Google resta la porta principale per chi cerca risposte a problemi giuridici.

In questo scenario, l’IA diventa uno strumento chiave anche per la comunicazione legale, perché consente di:

■ generare bozze di articoli o spunti per post LinkedIn in pochi minuti;

■ adattare un contenuto lungo (es. un articolo su una sentenza) in pillole per i social;

■ sviluppare rubriche periodiche (ad esempio: “La sentenza della settimana”) senza perdere tempo prezioso;

■ individuare i trend di ricerca e modulare i contenuti in base agli interessi reali del pubblico;

■ mantenere coerenza di tono e linguaggio con il proprio brand professionale.

L’errore che molti studi commettono è pensare che comunicare significhi “fare pubblicità”. In realtà, la comunicazione legale serve a costruire autorevolezza: mostrare competenza, metodo e visione.

Conclusione

L’intelligenza artificiale non danneggia l’avvocato: esalta il suo valore. Consente efficienza, competitività e autorevolezza. Invece di temerla, è arrivato il momento di governarla.

Ma il vero punto è questo: oggi non basta più saper lavorare bene. Bisogna anche saperlo comunicare. E l’IA può aiutarti a farlo con efficacia, senza rubare tempo alla tua attività principale.

Tu da che parte stai? Vuoi rimanere fermo, o diventare lo studio che gli altri guardano come modello?

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